Dispensa: TROPPO BUONO !!!!!!! Bambini, cibo, serenità

Di Giuseppina Tratta

PICCOLO VIAGGIO NEGLI OSCURI TERRITORI DELL’ALIMENTAZIONE DEL BAMBINO

Seminario sulla psicologia del bambino e l’educazione all’alimentazione

Introduzione

Una mela al giorno toglie il medico di torno

Il vostro bambino non vuole mangiare oppure mangia troppo? La salute dei bambini inizia da una corretta alimentazione. Per quanto complicata, l’alimentazione dei bambini, segue delle regole nutrizionali ben precise che aiutano lo sviluppo e la crescita e contribuiscono a prevenire problemi alimentari di varia natura. È nell’ambiente domestico che ha inizio l’alimentazione dei bambini e la creazione di abitudini alimentari corrette ed equilibrate.

Cibo = ??????

Quale è il significato del cibo? L’alimentazione è innanzitutto un bisogno primario per la vita, infatti se non ci nutriamo non viviamo.

Vorrei riflettere con voi sulla differenza tra i termini Alimentazione e Nutrizione.

  • Esiste un solo modo di nutrirsi (metabolismo e assorbimento dei principi nutritivi per il funzionamento dell’organismo) ma molti di alimentarsi (modo in cui introduciamo nel corpo gli alimenti).
  • Le valenze psicologiche legate all’alimentazione sono diverse: il cibo ha un valore simbolico sia per quanto riguarda gli aspetti culturali, sia per gli aspetti relazionali e intrapsichici associati ad esso.

Valore culturale dell’alimentazione

  • Il cibo rappresenta nella storia delle culture uno dei momenti centrali della ritualità collettiva  (nella Bibbia il ruolo della mela come mezzo di conoscenza del bene e del male, per esempio).
  • Le colazioni di lavoro, le festività religiose, i party, le feste sono momenti particolari che permettono interazioni affettive e di comunicazione che travalicano la semplice attività del pasto

Se non mangi niente Teletubbits!

Queste frasi ci indicano che alimentarsi e alimentare non sono semplici comportamenti di consumo, ma riguardano fattori biologici, socio-psicologici, nutrizionali, clinico-medici ecc. Nessuno di noi mangia solo sostanze inerti ma anche simboli, tradizioni, abitudini, associati agli alimenti e fortemente radicati nelle relazioni sociali e collettive, ma anche interne alla famiglia.

Le abitudini alimentari nascono in famiglia, in fasi molto precoci come l’allattamento e lo svezzamento; solo verso i 3-4 anni i bambini incontrano, con la scuola, nuovi modelli alimentari. Spesso si “scontrano” i due mondi, sia per gusto che per modi di preparazione e spesso le famiglie contrastano l’educazione alimentare scolastica e i comportamenti del bambino ne risentono.

Confusione, inappetenza, capricci, ipernutrizione, ecc..

La seconda grande rivoluzione alimentare avverrà nell’adolescenza, quando il desiderio di autonomia e identità si esprimerà anche seguendo scelte alimentari fuori casa e più simili a quelle dei gruppi dei coetanei che della famiglia, instaurando gerarchie diverse dove l’alimento è importante non come nutriente, ma come mezzo di incontro o di piacere. Pur se l’adolescente cambia abitudini, lo stile con il quale è stato trasmesso il comportamento alimentare in famiglia lascia il segno.

Ma che buono che è!!!!!

E’ importante non disgiungere la conoscenza cognitiva dal piacere di gustare i cibi, e rimettere l’alimento al suo posto di “Mezzo” per la vita e non “Causa” di essa, riposizionandolo nel dovuto posto delle relazioni affettive e sociali.

Sono “anche” quello che mangio

Valori psicologici dell’alimentazione

Attraverso il nutrirsi e l’alimentarsi si sviluppano le basi psicologiche dell’identità e della personalità, infatti la soddisfazione del bisogno permette la crescita e l’inizio della scambio con l’ambiente esterno. Fino al momento della nascita, il bambino e la madre non hanno esperito di essere distinti, ma hanno vissuto una fusione; la nascita rompe la simbiosi fisica e segna l’inizio del percorso di separazione-individuazione per il bambino, ma anche per la mamma.

Introdurre nel corpo il cibo è la primissima esperienza di differenziazione che il bambino compie, infatti mette dentro un qualcosa che è distinto da lui e che proviene da un esterno; inizia la differenziazione tra un dentro e un fuori, tra un Sé e qualcos’altro…..

Inizia con la madre una complessa interazione basata sul soddisfacimento dei bisogni reciproci, anche del bisogno di nutrirsi e nutrire, che porterà alla formazione di una modalità interattiva denominata “relazione di attaccamento”. La relazione di attaccamento si instaura tra il bambino e il suo caregiver, in genere la madre, ed è una modalità interattiva che pervade tutti gli aspetti dello sviluppo psicologico, sociale, relazionale. Il caregiver infatti, attraverso la relazione di attaccamento, fornisce al bambino la base da cui partire per il suo viaggio verso l’indipendenza.

Si comprende bene che l’alimentazione assume fin dai primissimi istanti di vita un’importanza notevole per quanto riguarda lo sviluppo oltre che fisico, anche psicologico e sociale della persona.

Il cibo è il veicolo della relazione tra madre e figlio, assume carattere di piacere per il soddisfacimento dei bisogni primitivi della fame e del prendersi cura, permette lo scambio nella soddisfazione del bisogno relazionale, e, per questo motivo può diventare il mezzo attraverso cui “giocare” i momenti conflittuali e l’oppositività nei confronti del genitore.

Quanto e cosa?

La crescita di un bambino è una fase complessa, poiché per ogni età l’apporto energetico necessario varia ed è per questo motivo che è necessario garantire un consumo costante e quotidiano di tutti i nutrienti fondamentali per lo sviluppo e l’equilibrio dell’organismo.

Il fabbisogno energetico di un bambino varia non solo a seconda dell’età, ma anche da bambino a bambino, a seconda del peso e della statura.

La crescita di un bambino è una fase complessa, poiché per ogni età l’apporto energetico necessario varia ed è per questo motivo che è necessario garantire un consumo costante e quotidiano di tutti i nutrienti fondamentali per lo sviluppo e l’equilibrio dell’organismo. Il fabbisogno energetico di un bambino varia non solo a seconda dell’età, ma anche da bambino a bambino, a seconda del peso e della struttura fisica e in base all’attività motoria quotidiana svolta. Sono numerosi i fattori da tenere in considerazione per una buona e corretta alimentazione dei bambini e non sempre ciò riesce possibile. Abitudini alimentari regolari sono il primo passo per garantire ai figli una vita più sana.

L’alimentazione dei bambini inizia dagli adulti

Sono i genitori i primi a dover dare il buon esempio, i primi a dover dare al bambino una corretta educazione alimentare, a dover dettare una serie di regole base affinché il proprio figlio impari a nutrirsi bene e possa, una volta adulto, tramandare le conoscenze acquisite alla prole. Purtroppo, un po’ per mancanza di esperienza e documentazione, un po’ per mancanza di tempo e di pazienza, non tutti sono in grado di fornire quelle abitudini alimentari così importanti per lo sviluppo e la crescita dei bambini.

I consigli della nonna

I vecchi “consigli della nonna” spesso derisi e forse in alcuni casi ritenuti obsoleti, sono tuttavia ancora molto validi, se non altro perché responsabilizzano e fanno conoscere ai più giovani la bellezza e l’utilità di sapori genuini, freschi e nutrizionalmente validi.

L’ambiente familiare, insieme a quello scolastico, costituiscono il terreno su cui fondare una corretta abitudine alimentare.

Magrezza mezza bellezza

I bambini e ancora più gli adolescenti sono facilmente esposti a modelli distorti e influenzati da mode e trend che propongono corpi snelli, agili, al limite dell’anoressia e cibi già impacchettati, precotti, surgelati, conservati, privi di reali valori nutrizionali. È quindi importante che il bambino impari, sin da piccolo, a seguire un regime alimentare corretto che insieme a fornire un equilibrato fabbisogno energetico, contribuisca alla creazione di un sano rapporto con il cibo e con il consumo dei singoli alimenti, evitando di contro lo sviluppo di abitudini alimentari irregolari che nel tempo possono sfociare in disturbi e patologie più o meno gravi.

L’alimentazione dei bambini e l’obesità infantile

Secondo ricerche e studi condotti da professionisti dietologi, pediatri e nutrizionisti, il fenomeno dell’obesità infantile problema sociale alquanto diffuso, colpisce in Italia un bambino su quattro e deriva sostanzialmente da uno squilibrio energetico, da un’introduzione eccessiva di calorie.

Le principali cause dell’obesità infantile sono:

  •       eccessiva o cattiva alimentazione
  •       ridotta attività fisica
  •       fattori genetici
  •       in rari casi alterazioni ormonali.

Iperalimentazione: è giusto preoccuparsi se il bambino non mangia, se ogni volta per finire un pasto se ne spreca la metà, se il bambino mostra continua inappetenza, ma un’eccessiva alimentazione è altrettanto malsana. L’iperalimentazione infatti, se presente già nei primi due anni di vita di un bambino, causa un aumento in volume e numero delle cellule adipose contribuendo, in età adulta, ad aumentare le possibilità di disfunzioni e problemi legati al sovrappeso.

Sedentarietà: non bisogna dimenticare inoltre che la salute dei bambini è regolata anche dall’attività fisica. Un bambino eccessivamente sedentario, che non solo pratica poco sport, ma si muove limitatamente (usa l’ascensore invece delle scale, corre e cammina poco, rimane spesso seduto) è più soggetto a problemi di sovrappeso giacché distribuisce male la sua massa corporea.

Genetica: la percentuale di bambini in sovrappeso legata a fattori genetici e familiari, secondo un’indagine Istat condotta nel 2000, sarebbe riconducibile solo al 25% (la percentuale aumenta al 34% nel caso in cui entrambi i genitori siano in sovrappeso). Un valore che dimostra quanto le abitudini alimentari e il movimento siano di fondamentale importanza per la salute dei bambini.

L’alimentazione dei bambini: alimenti per bambini

Una delle regole principali di una sana alimentazione per bambini è saper coinvolgere e divertire i bambini in cucina affinché imparino ad apprezzare il cibo e la sua valenza nutrizionale. I bambini devono mangiare con piacere e variare gli alimenti. È importante assumere vitamine, minerali e anche proteine attraverso pasti diversificati ricchi di frutta, verdura e carboidrati. L’assunzione di grassi deve essere invece moderata. I grassi e soprattutto quelli saturi, presenti in alimenti quali i prodotti caseari a basi di latte intero, dolci e carni grasse, possono nuocere alla salute dei bambini.

Uno dei pasti fondamentali è la colazione

Saltarla provoca fame incontrollata, con conseguente rischio di assunzione incontrollata e sbilanciata di alimenti, e perdita di concentrazione. Tra un pasto e l’altro, in caso di fame o calo di energie, l’ideale è fare uno spuntino leggero che possa aiutare a reintegrare le energie e i nutrienti mancanti. Da non dimenticare poi è l’importanza dell’idratazione: bere acqua o latte serve al corpo, composto per metà da acqua, non solo per spegnere la sete, ma anche e principalmente per reintegrare minerali e altri componenti.

Capire cosa è bene e cosa è male per i propri figli, quali cibi sono migliori o peggiori per l’alimentazione dei bambini non è sempre facile e spesso si rischia di perdersi nel mare di consigli e regimi alimentari proposti, ma la regola fondamentale è seguire una dieta regolare e ben bilanciata e una quotidiana e costante attività motoria.

I genitori fanno le regole

Per garantire una corretta alimentazione ai propri figli, bisognerebbe seguire un regime alimentare completo e nutriente. Ecco elencate di seguito dieci semplici regole che chiunque può mettere in pratica.

1) Procurarsi copia del menù settimanale della ristorazione scolastica e tenerlo in buona vista.

2) Chiedere agli operatori scolastici se il proprio figlio consuma tutto il pasto a scuola. In caso negativo incoraggiare a farlo ma evitare i “bis”.

3) Programmare il menu settimanale della famiglia tenendo conto di quanto i bambini hanno già consumato a scuola, per raggiungere le frequenze di consumo raccomandate.

4) Offrire sempre al bambino lo spuntino o la merenda a metà mattina e metà pomeriggio, evitando però quelli ad elevato tenore calorico che rischiano di ridurre l’appetito al pasto successivo.

5) Per assicurare al bambino energia per tutta la sua giornata scolastica sono sufficienti una buona colazione al mattino (sempre indispensabile), ed un frutto a metà mattina.

6) Molti bambini sono abitudinari e resistenti alle novità: se un nuovo alimento non è gradito non bisogna scoraggiarsi, ma continuare a riproporlo in momenti successivi.

7) Utilizzare creatività e fantasia per la preparazione e la cottura di pesce, legumi e verdure: su libri e Internet si possono trovare ricette gustose a basso tenore di grassi, formulate appositamente per i bambini.

8) Non insistere nel chiedere variazioni al menu scolastico di vostro figlio per semplici questioni di gusto o pseudo intolleranze.

9) Abituare i bambini a consumare cibi poco salati , tenendo presente che il sodio è presente anche nelle bibite e negli spuntini confezionati.

10) Per aiutare i ragazzini a consumare frutta e verdura proporre loro frullati, centrifugati e spremute, a colazione e merenda.

Sin da piccoli i bambini manifestano i loro gusti personali  nei confronti di determinati sapori e il loro atteggiamento è più o meno interessato alla soddisfazione che viene dal cibo. Gli istinti legati all’alimentazione sono così personali, sia da piccoli che da adulti, che qualsiasi forzatura viene vissuta come un attacco personale, una violenza subita senza motivo e speso è proprio così. Mi sembra che il peso e l’altezza di sua figlia siano nella norma, perciò la sua alimentazione è sufficiente ad assicurarle una crescita normale. Se all’asilo non voleva mangiare, non era una buona ragione farle trovare la minestrina o tenerla a casa. Le si mette davanti ciò che quel giorno è previsto, salvo alcune variazioni di cose che  anche nelle mense delle scuole è possibile avere, e se non mangia non se ne fa una tragedia. Al ristorante viene anche lei e se vuole stare semplicemente

in compagnia senza mangiare lo si accetta senza farsi rovinare la serata dal suo atteggiamento. Il biberon lo berrà a casa prima di coricarsi ma non deve sembrare un sostitutivo del pasto.

Il momento dell’alimentazione non deve mai essere un’occasione di lotta tra madre e figli. 

Quando il bambino cresce cerca anche un salutare e progressivo distacco dalla madre ed il cibo che è stato simbolo del loro legame diventa anche simbolo della loro autonomia. Se la bambina accetta di mangiare “per far contenta la mamma” in un periodo in cui teme di perdere il suo amore, può anche usare lo stesso mezzo per esprimere le sue pulsioni aggressive. Se la mamma di fronte a questi atteggiamenti si mostra delusa e ferita e si impunta nel volerle imporre il cibo, si attiva una situazione di ricatto che prolungherà nel tempo le difficoltà alimentari che altrimenti si sarebbero risolte spontaneamente. Nel suo caso la situazione si protrae da alcuni anni e perciò sarà sempre più difficile ristabilire un rapporto sereno nella gestione del cibo. Se ci riesce cerchi di essere meno apprensiva e più accogliente nei confronti delle scelte di sua figlia, sposti la sua attenzione su altri momenti, fate assieme delle altre cose (passeggiate, giochi, letture, acquisti – che non abbiano attinenza con il cibo – lavoretti..).

Parte seconda

Bambini terribili

Come si presenta un bambino che fa i capricci?

È un bambino indisciplinato, difficile da sopportare: non segue le regole, non collabora, non si applica, protesta su tutto, non è in grado di dare un senso a ciò che vuole, ha la pretesa di volere tutto e subito, non tollera avere dei rifiuti, fa capricci per qualsiasi cosa.

Questo carattere spesso deriva da un eccessivo permissivismo dei genitori, che proteggono molto il bambino, impedendogli di avere frustrazioni; in qualche occasione, quando i genitori lavorano entrambi, sono la tata o i nonni a provvedere a qualsiasi richiesta del bambino e a cedere a tutte le sue pretese, viziandolo.

Il motivo per cui certi genitori sono tanto permissivi coi figli dipende dalla scarsa propensione a stabilire regole chiare di disciplina col figlio. Alcuni genitori non vogliono provocare reazioni negative, come il pianto; le capacità di un bambino di fare i capricci iniziano non prima dei 5-6 mesi. Spesso la stessa madre, riprendendo il lavoro, quando torna a casa si sente in colpa per aver abbandonato per cosi tanto tempo il figlio e gli concede tutto pur di non contrariarlo.

Esiste confusione tra prestare attenzione al bambino e viziarlo: in genere è bene occuparsi del bambino, ma può risultare negativo essere a sua disposizione per qualsiasi cosa o al momento sbagliato, per esempio quando deve imparare a giocare da solo o con altri coetanei, oppure dopo che si è comportato male. Se sarete sempre a sua disposizione, non imparerà ad aspettare. Contrariamente a quello che si pensa, tenere in braccio un bimbo non è un sistema per viziarlo: pensate che in molte culture extra-europee il bambino passa molto più tempo in braccio alla madre.

Cosa succede se si lascia che il bambino faccia i capricci?

Se non si impostano delle regole in modo costruttivo, il bambino viziato avrà dei problemi, specialmente dall’epoca della scuola in poi: sarà poco accettato dagli altri coetanei, perché troppo egocentrico e arrogante, sarà mal sopportato dagli insegnanti perché troppo insistente e poco docile. Voi stessi come genitori avrete difficoltà a volergli bene proprio per il suo comportamento. Alla lunga un bambino viziato diventa infelice e anche nelle situazioni scolastiche non raggiunge gli obiettivi didattici perché non motivato; inoltre, tende sempre più a rifiutarsi dall’affrontare i problemi della vita di tutti i giorni.

Come evitare che vostro figlio sia viziato?

  • Stabilite delle regole valide per vostro figlio, applicandole a seconda dell’età: un bambino piccolo, lattante di 8-10 mesi, ha capacità ridotte di comprensione e sopportazione della frustrazione: se fa i capricci per volere giocare con un oggetto pericoloso o delicato come, per esempio, un telefono, lo si può aiutare a sopportare la proibizione, regalandogli un giocattolo. Se il bambino è in età prescolare, il dialogo deve diventare la regola davanti ai comportamenti capricciosi: se però non intende ragioni, dovete applicare una punizione che abbia però una conseguenza immediata, per esempio, farlo andare in camera sua o negargli il programma televisivo che stava vedendo. Se il ragazzo è sui 10-12 anni potrà bene intendere le vostre opinioni e i vostri ordini, ma è importante che vengano supportati da buone motivazioni per essere accettati.
  • Siate chiari e decisi sulle regole importanti: fate in modo che vostro figlio segua le regole che avete impostato già da piccolo, molto prima dell’inizio della scuola. Alcune regole utili sono, per esempio, stare nel seggiolino in auto, non picchiare gli altri bimbi, andare a dormire e alzarsi dal letto all’ora giusta. Su queste regole siate intransigenti: non c’è motivo di discuterle. Su altre situazioni, invece, il piccolo può avere delle opzioni: per esempio può scegliere quale libro leggere prima di dormire, che minestra volere, quale gioco farsi regalare. Cercate di far capire al bambino che ci sono situazioni in cui le regole non vanno discusse: queste non devono essere numerose, non più di una ventina. Quando in una casa esistono delle regole, queste devono essere rispettate da tutti e devono essere condivise da papà e mamma.
  • Affrontate con serenità e fermezza il pianto di vostro figlio: cercate di capire se il bambino piange per un motivo giustificato. Se si lamenta per dolore, fame, paura, rispondete subito alla richiesta; se piange perché desidera qualcosa, potete decidere o meno di accontentarlo. Quando invece fa capricci, ignoratelo; non insistete invece con frasi tipo: “smettila di piangere”, “sei un frignone”. Coccolatelo di più se sta passando un momento di frustrazione maggiore per i vostri dinieghi, ma non dategliela vinta al momento dei capricci o dei pianti; spesso i bambini fanno capricci per ottenere la vostra attenzione, per farvi cedere, per cambiare le vostre decisioni, per riuscire a fare quello che vogliono; piangono per farvi cambiare idea. Non cedete a questi ricatti: se vostro figlio grida, si butta per terra, sbatte le porte, lasciatelo sfogare, a patto che sia in un posto sicuro.
  • Non cercate un rapporto alla pari col bambino finché non è maturo: se ha due anni non state a parlare di regole: il piccolo non ne comprende il significato; applicatele e basta. A 4-5 anni potete cominciare a parlare di disciplina al bambino, però evitate di stabilire con lui le regole, perché gli manca il giudizio necessario. Dall’età di 14-16 anni un adolescente può discutere di disciplina coi genitori e insieme potrete stabilire regole e punizioni. Quanto più voi genitori vi dimostrate democratici nei primi anni, tanto più rischiate di viziare vostro figlio. In genere i piccoli non sanno gestire le regole, siete voi come genitori che dovete invece stabilirle e farle rispettare.
  • Dategli l’abitudine a giocare anche da solo: il compito di un buon genitore è quello di miscelare momenti in cui gioca col proprio figlio a momenti in cui lo lascia giocare da solo, fornendogli però degli strumenti per impegnarlo, come giocattoli o libri; il bambino a sua volta ha il compito di utilizzarli bene per divertirsi. Anche se state insieme a vostro figlio per parecchie ore al giorno, non è necessario che siate il suo compagno di giochi fisso; nemmeno è obbligatorio garantirgli sempre un coetaneo per giocare. Se siete occupati, insegnategli a giocare da solo; a un anno di vita un piccolo può giocare da solo anche per 15-20 minuti di tempo.
  • Insegnategli ad attendere: aspettare serve al bambino ad accettare meglio la frustrazione, ad imparare ad essere paziente. Il bambino gradualmente si abituerà a non avere immediata gratificazione per quello che fa, cosa che spesso succede nel mondo degli adulti. Non sentitevi in colpa se dovete far aspettare il bambino in certe occasioni (per esempio, quando siete al telefono o state parlando con altre persone): l’attesa non danneggia la crescita psicologica del bambino, anzi serve a rafforzarla. Per aiutare il bambino a tollerare la frustrazione abituatelo ogni tanto a cercare delle alternative rispetto alla cosa che vorrebbe: per esempio “non puoi mangiare la torta, però posso darti un frutto”; o ancora, ad aspettare il momento giusto: “non puoi mangiare la torta prima di pranzo, ma dopo pranzo sì”.
  • Non tentate di proteggetelo sempre davanti alle avversità: cambiare casa, iniziare la scuola, sono situazioni normali del vivere comune; servono spesso a imparare a risolvere i problemi. Siate sempre disponibili, ma fate sì che vostro figlio superi questi momenti con le sue forze: deve imparare ad avere a che fare con problemi reali, non può essere tutto semplice e facile! In questa maniera il suo carattere ne trarrà beneficio.
  • Insegnategli a rispettare le vostre esigenze e i tempi in cui si sta insieme: le necessità basilari del bambino, come l’amore, il cibo, la sicurezza, sono prioritarie, ma anche la vostra vita è importante. È comunque importante non solo la quantità di tempo che dedicate a vostro figlio, ma soprattutto la qualità, cioè il modo di interagire e confrontarsi e dialogare con lui. Cercate ogni giorno di concedergli questo tipo di tempo, evitate invece di stare la sera e tutta la domenica sempre con lui, rinunciando ai vostri spazi: ne andrà di mezzo il rapporto di coppia e il vostro equilibrio mentale. Qualche serata programmata solo per voi, marito e moglie, sarà utile a rinforzare la vostra intesa e a farvi riprendere le energie. Il bambino deve imparare ad aver fiducia in voi anche senza avervi sempre vicini. Deve imparare a rispettare i vostri diritti e questo servirà in futuro a rispettare anche quelli degli altri

Genitori terribili?????

Cosa impedisce ad alcuni genitori di esserlo veramente?

L’affascinante paradosso dell’educazione è che per far sviluppare bisogna limitare.

Il bambino ha maggior possibilità di sviluppo rispetto all’adulto ma, per diventarlo, bisogna che qualcuno lo indirizzi e limiti le sue possibilità. Se nessuno sceglie per lui, la crescita diventa anarchica. Educare significa scegliere per conto di chi ancora non può farlo, ed il compito sarà finito quando il bambino potrà farlo per conto suo: solo allora si sarà raggiunto il primo obiettivo dell’educazione, cioè il poter fare a meno dell’educatore. Chi non è in grado di avere un ruolo come genitore-educatore (anche se qui sono implicati tutti gli educatori) è destinato al fallimento perché, anziché favorire l’autonomia del proprio figlio, ne aumenterà la dipendenza da lui stesso, dagli altri, dal gruppo.

Quali sono le possibili cause della distorsione educativa che conduce al “bambino terribile”?

Il bambino necessita di una guida costante che sappia contenere, indirizzare ed ordinare le sue spinte positive, ma disarmoniche. Purtroppo, a volte interviene la comodità: è molto più facile, per un genitore poco impegnato, il “lasciar fare” al figlio piuttosto che la responsabilità di una scelta od il dispiacere di un no . Altre volte, invece, subentra il senso di colpa che i genitori, specie le madri, provano nei confronti dei figli a causa degli impegni lavorativi e sociali che sottraggono tempo dedicato a loro. Nei momenti in cui sono insieme tendono a rifondere il loro bambino come se fossero in debito di qualcosa e, naturalmente, sono più disposti a tollerare atteggiamenti sbagliati ed a colmarlo di oggetti più che di una relazione. Un altro aspetto importante, di tipo sociale, è la crisi generalizzata dei valori che colpisce tutti gli strati. È comprensibile pensare ad un genitore frastornato da “categorie” entro le quali non sa ritrovare più princìpi validi da trasmettere: “cosa insegnare ad un bambino se io stesso genitore non so più in che cosa credere?” Infine, molto importante è anche la coerenza dell’educatore: anche quando i princìpi da trasmettere ci sono, per farlo e perché rimangano stabili ci vuole l’esempio. I bambini hanno una logica elementare ma ferrea: per esempio, se un genitore passa col rosso, il bambino pensa: “le regole non esistono, oppure esistono solo per gli altri, e se gli altri non le rispettano io mi posso arrabbiare con loro senza riflettere su di me”.

Il bambino terribile dal punto di vista della psicologia

Il problema del bambino terribile può essere ricondotto, psicologicamente parlando, ai cosiddetti “vissuti implicati nell’itinerario educativo”, che in questo caso sono tre: il vissuto della “separazione”, quello della “creazione” e quello della “gratitudine”.

Vissuto della separazione: si è detto che educare significa fare in modo che l’educando (il figlio), quando è avvenuto il processo educativo, possa fare a meno dell’educatore (genitore). Questo passaggio è molto difficile da gestire internamente alla psiche del genitore, perché ha a che fare con una separazione. Può capitare quindi che lo stesso genitore interferisca sul processo educativo, perché egli corre il rischio di interpretare le conquiste, le curiosità, i tentativi di autonomia del bambino come attentati, allontanamenti affettivi da sé e, più o meno consciamente, cercherà di circoscriverli, limitarli o perfino abolirli. Il risultato è che, senza l’elaborazione individuale di questi conflitti, si arriva all’educazione alla dipendenza invece che all’autonomia, vero obiettivo di ogni tipo di educazione.
Vissuto della creazione: educare significa estrarre dal bambino quello che già c’è, potenziarlo ed insegnargli a gestirselo; la tentazione di “creare un figlio a propria immagine e somiglianza” è fortissima, specie per un genitore insicuro, meno aperto, e quindi meno incline a mettersi in discussione per non compromettere le proprie certezze. Il risultato è l’educazione all’intolleranza verso ogni novità, che viene vissuta sempre come pericolosa, invece che come curiosità sia emotiva che intellettuale.

Vissuto della gratitudine: educare significa non avere diritto all’amore per tutto il tempo in cui dura il processo educativo, poiché non si può amare ciò di cui si ha bisogno, ma si ama solo ciò che si sceglie per desiderio e non per bisogno. Il genitore ha il dovere di amare il proprio figlio, perché si presume che lo abbia scelto, mentre il bambino ha il diritto di essere amato ma non il dovere di amare finchè non sarà lui a scegliere i suoi genitori, una volta educato. Una distorsione di questo concetto comporta la possibilità del ricatto affettivo: “se non mi ascolti e non fai quello che dico vuol dire che non mi vuoi bene mentre io non so più cosa fare perché te ne voglio tanto”. Il risultato di questo conflitto, se irrisolto o confuso, è l’educazione all’affetto come merce: “se mi ubbidisci ti regalo qualcosa” e, dall’altra parte, “esigo un regalo per fare quello che devo”. Tutto questo viene chiamato e scambiato per amore.

Riassumendo

Il bambino terribile non è abituato a tollerare le frustrazioni, non conosce il desiderio perché tutto ha le caratteristiche del bisogno, non vive l’attesa perché ciò che riesce ad immaginare deve essere immediatamente disponibile e rapidamente consumato. E’ un bambino il cui temperamento difficile viene confuso dai genitori come fermezza di carattere mentre invece altro non è che il sintomo della sua vulnerabilità, perché se il mondo magico ed onnipotente in cui vive si incrina, se non va tutto come vuole lui, egli tende ad isolarsi o, più spesso, ad avere crisi di disperazione.
Che adulto sarà? Con assenza di ideali che lo stacchino dal semplice possesso materiale delle cose, tenderà a vivere nella dimensione dell’avere piuttosto che in quella dell’essere. Sarà dominato dalla noia perché gli mancherà lo spazio mentale del desiderio e, convinto che tutto gli sia dovuto, frequentemente l’attesa sarà sostituita dalla soddisfazione concreta del bisogno, non importa come ed a spese di chi. Sarà un adulto incapace di veri affetti perché non tollera la responsabilità che questi comportano; avrà scarsa capacità di autocritica e scarsa autonomia, iniziando tante cose ma, al primo insuccesso, demordendo ed attribuendo la responsabilità dell’accaduto mai a se stesso bensì alle circostanze ambientali ed agli altri, verso cui accumulerà risentimento e di cui si sentirà continuamente vittima.

Come prevenire?

I genitori devono condividere uno spazio mentale in cui situare il proprio figlio ed il suo futuro, devono pensare insieme a come vogliono farlo diventare, cioè scegliere insieme una linea educativa. Insieme non vuol dire che uno deve accettare passivamente il progetto dell’altro ma che entrambi devono trovare un compromesso tra due caratteri diversi. Un buon risultato non dipende dall’essere rigidi o permissivi ma se, una volta scelto lo stile, lo si applica coerentemente con convinzione profonda. Inoltre, di fronte al bambino, non ci può essere uno dei due genitori rigido e l’altro permissivo, perché in questo modo gli si consentirebbe di evitare gli ostacoli rifugiandosi presso il genitore più “buono”, né si deve consentirgli qualcosa che fino ad allora era proibito perché ci si sente buoni, o viceversa, proibirgli qualcosa che fino ad allora era lecito perché si “ha la luna di traverso”. Il bambino non deve mai pensare che i permessi od i divieti sono la conseguenza dello stato d’animo e dell’umore dei genitori, ma deve pensare che sono leggi, alle quali ubbidiscono anche loro. Se un provvedimento preso da uno dei genitori non è condiviso dall’altro bisogna comunque che venga sostenuto da quest’ultimo, perché la discrepanza educativa è il peggiore dei mali.  La punizione od il premio devono sempre seguire la promessa e devono essere adeguati a ciò che li ha provocati; in caso contrario, per la logica del bambino, si perde di credibilità e quindi si perde la fiducia, che è la base della sua sicurezza affettiva.

I genitori, infine, devono partecipare attivamente alla vita del figlio ed ascoltarlo.I nonni possono consentirsi qualche differenza dallo stile dei genitori, purchè non sia eccessiva, ma non devono mai far pensare al bambino che siano i genitori a sbagliare.

Cosa fare se il bambino terribile si è già instaurato?

Il primo atteggiamento da tenere è quello di non mettersi mai in competizione con lui: chi lo facesse avrebbe già perso in partenza, perché al bambino non sfuggirebbe il tentativo di dimostrargli la propria superiorità, e questa è una debolezza. Per essere credibili nei confronti di un bambino bisogna essere sicuri di essergli superiori, non è necessario tentare di dimostrarglielo: se lo facciamo, lo facciamo per noi, perché non ne siamo certi. Da questo ne consegue che, se egli ci provoca, lo dobbiamo tollerare sempre oppure non tollerare mai a seconda della capacità individuale, ma non lo si deve tollerare più volte per poi esplodere quando non se ne può più, perché in quel momento ha vinto lui, si sente fortissimo, magico ed onnipotente, anche se le prende. Non è raro infatti che dica: “non mi hai fatto neanche male” senza versare una lacrima. È molto più produttivo intervenire a freddo, quando abbiamo capito che se continueremo a stare al gioco della provocazione finiremo con l’esplodere. In questo caso non correremo il rischio di essere troppo pesanti nella punizione e l’effetto pianto non sarà dovuto al dolore fisico ma a quello morale della frustrazione, che ha un valore educativo. In secondo luogo bisogna sapere che, se si vuole iniziare a cambiare le cose, paradossalmente è meglio cominciare da quelle in cui siamo meno coinvolti, perché soltanto così potremmo essere coerenti. E’ inutile tentare di modificare i comportamenti di un bambino se per primi i genitori non sono convinti di poter insistere e resistere nel loro progetto. È inutile, per esempio, cercare di abituare un bambino a dormire nel suo letto se si abita in un condominio dalle pareti sottili e, dopo poco che il bambino piange, si sente battere sul muro dai vicini. Il genitore deve iniziare da cose meno coinvolgenti, di ordine quotidiano, sulle quali è sicuro di poter essere coerente: dal buon esito di queste prove capirà meglio la strada da seguire e si fortificherà nel suo ruolo.

Parte terza

Disturbi Alimentari Infantili :  Rifiuto di Mangiare

Il rifiuto di mangiare da parte d’un bambino suscita sempre nei genitori una grande ed intensa preoccupazione. Spesso si mobilita l’intera famiglia per cercare i consigli di conoscenti ed esperti, in primo luogo pediatri e talvolta anche psicologi.

La situazione più grave che si possa presentare è quella d’una anoressia vera e propria, ossia un rifiuto totale del cibo, ma è un fenomeno abbastanza raro in età infantile dove per lo più si trova legato a disturbi mentali gravi.

Su un gradino intermedio si possono collocare tutte quelle forme d’anoressia che si presentano in occasione di cambiamenti del regime alimentare come nello svezzamento, in periodi di malattia, in fasi di grandi cambiamenti di vita come traslochi o affidamento ad altre figure d’accudimento.

Molto frequenti e diffusi sono l’eccessiva selettività nei confronti dei prodotti alimentari, ad esempio un bambino che mangia solo due o tre tipi di cibo, e la difficoltà ad accettare i nuovi sapori.

In ognuna delle tre situazioni è importante rivolgersi al pediatra affinché suggerisca le tecniche nutrizionali più adeguate, qualora il problema dovesse essere particolarmente complicato e fonte d’eccessiva ansia per i genitori ci si può rivolgere ad uno psicologo.

Richiedere una consulenza psicologica permette, nel tempo d’un breve numero d’incontri, d’inquadrare il problema e le dinamiche relazionali, pianificare e sperimentare delle strategie d’intervento risolutive.

L’alimentazione ha una grande valenza simbolica: le dinamiche che si attivano tra bambino e figura d’accudimento al momento del pasto, lasciano infatti filtrare sentimenti, emozioni e credenze reciproche che

creano i modelli mentali del bambino, ossia gli “occhiali” attraverso i quali guarderà se stesso ed il mondo che lo circonda.

I problemi più frequenti alla base del rifiuto del cibo ruotano attorno ad un ipocoinvolgimento o ad un ipercoinvolgimento delle figure d’accudimento in merito all’alimentazione: alcuni adulti possono mostrarsi imprevedibili e ignorare spesso i segnali di richiesta del cibo, altri possono vivere con molteplici forme d’ansia tutto ciò che riguarda il cibo che può addirittura diventare l’unico canale di comunicazione affettiva. In altri casi lo scambio nell’atto alimentare è il terreno dove l’adulto gioca il controllo e il potere a scapito del riconoscimento delle peculiarità proprie del bambino. Ovviamente anche le naturali predisposizioni temperamentali del bambino possono avere un ruolo nella creazione di problematiche alimentari, ma è compito dell’adulto assumersi la responsabilità di capire cosa succede e perchè, modificare i propri comportamenti per risolvere positivamente la situazione.

I disturbi alimentari nella prima infanzia

Da sempre i genitori si preoccupano della nutrizione dei propri figli poiché una sana ed equilibrata alimentazione favorisce un altrettanto sano sviluppo del bambino, soprattutto nei primi anni di vita.Un Disturbo dell’alimentazione insorge quando si incontrano dei disagi,  di diversa intensità,  durante il processo di nutrizione più o meno duraturi nel tempo.

Momenti critici

In realtà esistono dei momenti critici in cui l’insorgere di piccoli rifiuti di cibo da parte del bambino, è frutto della fase dello sviluppo che sta vivendo. Uno di questi delicati momenti è quello dello svezzamento, in cui si passa da cibi liquidi (il latte) a cibi più consistenti (le pappe). In questo periodo, è utile che l’adulto che nutre il bambino,  comunichi al piccolo la propria tranquillità e sicurezza, poiché l’introduzione di un cibo nuovo e diverso può essere per lui fonte di ansia.

Tra le condizioni più frequenti, vi è quella del bambino che mangia solo alcuni cibi, a discapito della varietà alimentare: in alcuni casi, caratteristiche come il colore o la forma dell’alimento, possono influenzare la scelta; in queste situazioni, è necessario stimolare il bambino con latri cibi per riattivare la curiosità verso nuovi sapori.

Mentre alcuni bambini respingono il cibo mettendo in atto condotte di RIFIUTO durante  il momento della nutrizione,  altri ricorrono al VOMITO.
Nei casi più gravi, si può arrivare ad un vero e proprio  DISTURBO DELLA NUTRIZIONE DELLA PRIMA INFANZIA,  ossia l’incapacità di mangiare adeguatamente, come manifestato dalla significativa impossibilità di aumentare di peso o da una significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese (DSM IV tr). In questi casi, dopo aver escluso particolari condizioni mediche associate, è auspicabile ricorrere prontamente ad una terapia.

Eventi specifici

Molto spesso l’esordio del sintomo può essere correlata ad eventi specifici occorsi nella vita del bambino: una malattia, un trasloco o l’affidamento ad una nuova figura di accudimento, come succede durante l’inserimento al nido. In questo caso, è importante la cooperazione tra i genitori e la nuova figura, con lo scopo di condividere abitudini e routine, per rendere il passaggio meno brusco; è importante inoltre pianificare insieme l’introduzione di nuovi cibi e l’inizio dello svezzamento, per far sì che il bambino ritrovi le stesse modalità di somministrazione del cibo sia a casa che a scuola: la presenza di questa forma di coerenza in tutti i contesti di vita del bambino, dona sicurezza, fiducia e stabilità al piccolo.

È comprensibile che un genitore, in condizioni di alimentazione inadeguata del proprio figlio, possa sentirsi inadeguato egli stesso, arrivando ad esperire vissuti di ansia e di impotenza, difficili da gestire. 

Il bambino, d’altra parte, può leggere la preoccupazione del genitore in molteplici modi e attivare risposte comportamentali particolari, come reazione allo stato d’animo dei genitori. Ogni sintomo manifestato, ha un valore relazionale profondo: è probabile che il bambino, attraverso il suo rifiuto, voglia comunicarci qualcosa di specifico e che usi i mezzi e i canali comunicativi che egli conosce meglio, soprattutto quando il linguaggio ancora non è pienamente sviluppato. In questi casi, un lavoro psicoterapeutico mirato sulla  relazione tra figlio e genitori, ci consente di decodificare il  messaggio veicolato dal  sintomo, investirlo di un significato  e contestualizzarlo, restituendo al bambino e alla famiglia nuove possibilità comunicative.

Il momento del pasto ha un valore significativo perché nutriamo nostro figlio, oltre che con gli alimenti, con le nostre emozioni e la nostra affettività. Quello che passa attraverso questo canale, lo nutre ad un livello profondo ed ha una grande influenza sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino, oltre che sulla crescita fisica.

BIBLIOGRAFIA

Il mondo interpersonale del bambino

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La crisi della coppia. Una prospettiva sistemico-relazionale

Maurizio Andolfi, Cortina Raffaello 1999

Jean Piaget

Gattico, E. (2001). Milano: Bruno Mondadori